Diario

Migrazione perenne

L’odio è sempre stato un elemento presente nell’evoluzione dell’uomo.
Tutti odiamo qualcosa nella vita, ed in questo periodo di totale smarrimento, l’odio sembra legittimato, quasi doveroso, “necessario”.
C’è chi odia i poveri e chi le persone benestanti, chi i comunisti. Chi odia i gay o le persone lgbt in generale, chi odia gli immigrati, che sembrano esser diventati il problema alla base di tutto, tranne di chi ne sfrutta il lavoro a basso costo ovviamente ( vedasi teorie marxiste sull’esercito di riserva) e c’è chi odia e basta e poi ci sono io… che odio me stessa.
In questo ultimo periodo sono diventata il mio “problema immigrazione personale”.
Ho “abbandonato” il mio paese biologico ormai da un bel po, o forse in realtà non ne ho mai fatto parte. Diventato invivibile a causa di numerosi conflitti interni, era ormai sotto il controllo di uno stato fantoccio . C’è chi dice che quei conflitti, dalla base d’interesse che chiameremo disforica, fossero stati causati da ingerenze “straniere”. Una sorta di influenza esterna che ha creato quei conflitti col territorio che sarebbero poi sfociati nelle guerre disforiche* 1 2 .
Bloccata dalla burocrazia non riesco ancora a raggiungere il mio stato d’elezione, a causa di innumerevoli leggi a volte da me stessa create. Leggi reali ed emotive che, specie in queste ultime due settimane, mi trascinano in questo mare di insicurezze. Quella terra ” promessa” a volte sembra irraggiungibile. Troppo distante, troppo costosa o semplicemente un utopia. Nonostante io mi senta già cittadina dalla nascita di quelle terre, mi sento intrappolata in questo territorio di transizione, che mi odia e che a tratti nega il mio viaggio e le mie conquiste alla mia vista. Ma sono io quel territorio che mi rifiuta.
Sono il mio ministro degli interni che emana leggi emotive contro se stessa e che attraverso insicurezze e paure sposta l’attenzione sulle delle debolezze sempre presenti. Sono le mie voci votanti, che insicure e spaventate preferiscono voltare il proprio sguardo altrove, e che con rabbia e disperazione deturpano con gesti nevrotici un volto che a volte non riconosco. Sono la nausea mattutina che la fantasia e la speranza di ripresa non riescono più a fermare. Sono il miraggio di pace che dura 24 ore, che nasce e muore nel calore di un tuo abbraccio. Sono la distesa d’acqua salata che divide i nostri corpi, da me stessa formata dopo una settimana di traversata turbolenta.
Sono la cittadina di seconda generazione che questo stesso territorio che l’ha vista nascere rinnega come elemento estraneo. Sono quei gesti di autodeterminazione che in questi momenti di insicurezza si ritorcono contro di me.
Sono la paura del passato che ritorna. Un passato che non mi appartiene,che odio profondamente, ma figlia di un presente che ai miei occhi in questi giorni sembra cosi fragile, cosi semplice da sgretolare. In un insicurezza che corrompe e brucia tutto alla radice . Perfino quelle conquiste che pensavo ormai consolidate nei gloriosi giorni di lotta. Sono quella voce sottile coperta dal silenzio quotidiano, quel silenzio rotto solo dalle tue dolci parole di speranza e conforto. Parole che cercano in tutti i modi di mostrarmi un volto che io non riesco più a vedere, ma che so essere il mio .
Sono la mia perenne migrazione quotidiana …

1C’è chi afferma che la disforia in se non esista, ma sia solo una reazione ad alcuni imput di una società binaria al nostro non esser binariamente e culturalmente allineati . In sintesi, in una società che associa conformazioni fisiche e azioni ad un determinato genere, comportamenti ritenuti non allineati e non conformi generano disforia. Di conseguenza in un mondo libero da imposizioni nessuno proverebbe disforia verso il proprio essere, essendo liber*di viverlo a proprio piacimento. La sintesi della sintesi, proprio quella spicciola, io provo disforia per i miei genitali, perchè la società in cui vivo li associa al genere maschile, di conseguenza, sentendomi io una donna provo disgusto verso quei genitali che la società associa ad un genere che non sento mio.

2 E’ ovviamente una metafora . La migrazione come metafora del percorso di affermazione di genere

2 pensieri riguardo “Migrazione perenne

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.